avv. Massimiliano Maggio, sulla riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, in discussione in questi giorni, con un particolare riguardo alle modifiche, in corso di attuazione, in materia di disciplina dei licenziamenti “per motivi economici”.
Art. 18, portata reale della riforma e potere qualificatorio del datore
Tra opportunità e certezza del diritto *
Si rischia il corto circuito in sede di impugnazione di un licenziamento per motivi economici (per lo scrivente sarebbe preferibile continuare a chiamarlo “giustificato motivo oggettivo”, per non creare un quartum genus di licenziamento). Dalle parole del Ministro Fornero, da quello che si apprende leggendo i giornali e sentendo programmi di approfondimento in materia – non essendoci ancora un testo strutturato su cui ragionare -, la reintegra, sanzione per licenziamenti giudizialmente illegittimi, è in ogni caso esclusa per il licenziamento per g.m.o.. Quindi un licenziamento per g.m.o. dichiarato illegittimo dal giudice del lavoro sarà sanzionato con la condanna del datore al pagamento dell’indennità (minimo 15 e massimo 27 mensilità) a favore del lavoratore. Diverso è il discorso per i licenziamenti (illegittimi) per g.m.s.: lì sarà il giudice a decidere tra la reintegra e il pagamento dell’indennità (per i licenziamenti discriminatori la norma non cambia, restando fermo l’obbligo di reintegra o, a scelta del lavoratore, il pagamento dell’indennità a suo favore). Orbene, ci si chiede quali saranno i casi di illegittimità di un licenziamento per g.m.o.: saranno, a ben vedere, quelli in cui, a fronte dell’insussistenza (giudizialmente accertata) del motivo afferente l’organizzazione aziendale (il motivo economico) posto a fondamento del provvedimento espulsivo, il lavoratore avrà dimostrato la volontà datoriale di dissimulare una ragione discriminatoria e/o disciplinare (facendo, così, rientrare il licenziamento nell’alveo di quelli per cui è ancora possibile la reintegra) ovvero, semplicemente, quelli in cui il licenziamento – illegittimo – sarà considerato un banale errore di valutazione della situazione organizzativo-economica dell’azienda che ha generato il (non legittimo) licenziamento da parte del datore stesso. Situazione, quest’ultima, fin oggi quasi per nulla presente nel panorama della giurisprudenza del lavoro (non foss’altro per mera logica argomentativa giuridica, non si ha notizia di sentenza di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo che non rechi, ancorché implicitamente, tra gli argomenti a supporto delle prospettazioni del giudice, la errata – e tendenziosa – qualificazione del recesso dato ad esso dal datore). Non stupisca questa considerazione: è il caso di rilevare come fino a oggi di questa differenziazione non si è mai tenuto conto, posta la medesima conseguenza a cui conduce una sentenza di illegittimità di licenziamento, benché erroneamente qualificato dal datore. Se, appunto come si ritiene, il primo caso sarà, a livello numerico, notevolmente più presente sulle scrivanie dei giudici del lavoro, questo condurrà al corto circuito: qualora venisse dimostrato che un licenziamento “per motivi economici” dissimuli un recesso datoriale discriminatorio e/o disciplinare (quasi sempre, a questo punto, nei casi di accertata illegittimità di un licenziamento per g.m.o.), al giudice dovrebbe essere data sempre la possibilità di adottare la reintegra, neutralizzando così la portata “rivoluzionaria” del rimaneggio dell’art. 18 in atto. Alla luce della riforma in fieri, il dibattito odierno verte sulla considerazione per cui non si vuol pensare che volontà del legislatore sia quella di attribuire al datore (rectius: al suo potere qualificatorio) la facoltà di far applicare una norma (la sola indennità) o l’altra (possibilità della reintegra), anche con tutto ciò che consegue in ordine alla valutazione sulla reale portata innovativa del ddl sul lavoro. Sarebbe, difatti, una soluzione abnorme e in smaccata contrapposizione con la “certezza del diritto”, valore tanto sbandierato e tanto (solo verbalmente?) perseguito. *Articolo scritto il 26 marzo. Oggi, 30 marzo, tutti gli organi di stampa aprono con la notizia dell’accoglimento da parte del governo delle obiezioni all’impostazione innanzi descritta nel senso di sottrarre completamente al datore il potere di qualificare il licenziamento (attribuendo siffatto potere esclusivamente al giudice) e, così, decidere sostanzialmente la disciplina ad esso applicabile. ]]>