Diritti individuali e collettivi del socio lavoratore di cooperativa”. Di seguito e in allegato il documento: La necessità di restyling dell’art. 2, L. n. 142/2001 tra riforma “Fornero” e “Jobs Act” Il venir meno della portata reintegratoria dell’art. 18 dello Statuto del Lavoratori e le novità in materia di licenziamenti introdotte dal D. Lgs. n. 23/2015 rendono opportuna una rivisitazione della legge n. 142/2001. Quella dei licenziamenti individuali è, indiscutibilmente, la questione che negli ultimi 3 anni ha catalizzato maggiormente l’attenzione dei nostri governanti ergendosi, prepotentemente, a tematica principale in tutti i dibattiti politici e, conseguentemente, diventando un argomento di pubblico dominio. Ma da un periodo ben precedente, il famigerato “articolo diciotto” è stato sulla bocca di tutti, generando polemiche, moti difensivisti, “illuminati” pareri da parte di non addetti ai lavori. Sta di fatto che da tutta questa bagarre restava miracolosamente estranea la cooperazione di lavoro, alla luce della (questa volta sì, davvero “illuminata”) scelta del legislatore del 2001 di sottrarre al sindacato del Giudice del Lavoro, l’opportunità di “riammettere” in cooperativa un socio espulso. Difatti, l’art. 2 della L. n. 142/2001, prevede, tutt’oggi, espressamente l’inapplicabilità del disposto dell’art. 18, L. n. 300/1970, laddove sia venuto a cessare, unitamente al rapporto di lavoro, anche il rapporto associativo. Non mi dilungherò eccessivamente, ma ritengo opportuno rimarcare la bontà di siffatta scelta alla luce della sancita strumentalità del rapporto di lavoro rispetto a quello associativo con la conseguente attrazione alla competenza del Giudice Ordinario di tutte le patologie del rapporto associativo tra la cooperativa e il socio lavoratore, con la residuale competenza del Giudice del Lavoro per le controversie sorte per problematiche riconducibili squisitamente al rapporto (rectius: contratto) di lavoro. E, appunto, l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori si riteneva necessaria a fronte della portata prettamente (oserei dire, esclusivamente) reintegratoria della disposizione; d’altra parte nessuna previsione di questo tipo veniva fatta in riferimento al disposto dell’art. 8, L. n. 604/1966 che prevede, a fronte di illegittimità di licenziamenti nelle aziende fino a 15 dipendenti, la (mera) tutela obbligatoria (il pagamento di un’indennità tra un minimo di 2,5 a un massimo di 6 mensilità). Fatto sta che dal 18 luglio 2012, questa portata reintegratoria è stata – a dir poco – compressa della L. n. 92/2012 (la riforma “Fornero”) che ha materialmente (e completamente), riscritto l’art. 18, L. n. 300/1970: esso è, oggi, una norma che prevede prevalentemente la condanna del datore al pagamento di un’indennità a favore dei lavoratori nei casi di pronunce giudiziali di licenziamenti illegittimi. Una sorta di tutela obbligatoria “rafforzata”, solo quantitativamente più favorevole al lavoratore rispetto al (non modificato) disposto dell’art. 8 della legge n. 604/1966 (la legge sui licenziamenti applicabile alle aziende con organico inferiore alle 16 unità) che, ricordiamo, è una disposizione perfettamente applicabile ai soci lavoratori delle cooperative. E qui sorge la prima domanda: non è il caso di modellare l’art. 2 della L. n. 142/2001 alla luce del mutato scenario e del “nuovo” art. 18? Nessuno se lo è chiesto, lo facciamo noi. Ma è il D. Lgs. n. 23/2015 (la parte del Jobs Act dedicata al contratto a tutele crescenti) a porre, sempre relativamente alla disciplina delle cooperative di lavoro, una problematica, ad avviso di chi scrive, decisamente maggiore. Il decreto sul “contratto a tutele crescenti”, pur agendo in senso ancor più restrittivo della riforma “Fornero” relativamente alla possibilità di reintegra, la prevede, comunque, in due casi: per i licenziamenti discriminatori (e qui nulla cambia rispetto all’art. 18 originario e alla L. n. 92/2012) e per i casi di insussistenza del fatto materiale per i licenziamenti disciplinari (per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo). Si consideri che il D. Lgs. n. 23/2015, essendo normativa applicabile solo ai rapporti di lavoro costituiti dal 7 marzo 2015 non impatta direttamente sull’art. 18 dello Statuto che, quindi, resta ancora in vigore nella medesima struttura testuale. Pertanto, ci troviamo davanti alla paradossale situazione per cui, in uno scenario generale in cui la reintegra è diventata un istituto praticamente in disuso, vi è, oggi, il rischio che essa venga disposta in casi di licenziamento di cooperativa a carico di socio lavoratore assunto il 7 marzo 2015, laddove sia cessato anche il rapporto associativo. Proprio in quelle realtà imprenditoriali per le quali il legislatore del 2001 aveva fatto la scelta radicale di escludere, per i motivi considerati precedentemente, la possibilità reintegratoria. Ricordiamo, difatti, che il D. Lgs. n. 23/2015 nulla prevede in ordine alla sua inapplicabilità alle cooperative di lavoro e la legge di riferimento di queste ultime, la già menzionata 142/2001, prevede, all’art. 2, esclusivamente che “ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione dell’art. 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo”. Il pericolo del paradosso è, pertanto, presente; non si può fare altro che sperare che il legislatore si accorga del corto circuito e ponga rimedio senza pregiudicare la relazione di strumentalità del rapporto di lavoro rispetto a quello associativo nelle cooperative di lavoro.   In allegato: Art 18 – Riforma Fornero – Jobs Act e l’art 2 della L n 142-2001_marzo 2015 Avv. Massimiliano Maggio Legacoop Puglia Ufficio Legislazione Lavoro maggio@legapuglia.it]]>