Il Tribunale di Torino ripropone l’annosa questione sulla “doppia competenza” giurisdizionale per i soci lavoratori nelle controversie con le società cooperative in materia di licenziamenti. Di seguito una nota di approfondimento del responsabile Ufficio Legislazione lavoro Legacoop Puglia, Massimiliano Maggio, anche alla luce dell’articolo pubblicato da ItaliaOggi il 12 agosto 2013 (“Controversie sulle coop dal giudice del lavoro”). Con ordinanza del 17 giugno scorso, il Tribunale Ordinario di Torino ha rimesso gli atti relativi a una controversia tra socio lavoratore e cooperativa (oggetto del contendere era il licenziamento del socio lavoratore) alla Corte Costituzionale per il – presunto – contrasto tra l’art. 5, comma 2, L. n. 142/2001 e l’art. 3 Cost. nella parte in cui è prevista la competenza del giudice ordinario per le controversie relative al rapporto associativo tra socio e cooperativa. La fattispecie concreta, caratterizzata da un rimpallo di competenza tra il Giudice del Lavoro e il Giudice Ordinario, offre lo spunto per alcune considerazione sulla questione della competenza giurisdizionale. L’introduzione della L. n. 142/2001 (come modificato dalla L. n. 30/2003) ha, di fatto, sancito l’autonomia – nonché la strumentalità – del rapporto di lavoro rispetto al rapporto associativo del socio lavoratore con la cooperativa. Pertanto, a una duplicità di rapporti corrisponde una duplicità di tutele; il discrimine per incardinare la competenza del G.d.L. o del G.O. sarà l’ambito nel quale sorge la controversia: per esempio, un licenziamento (così come una richiesta di differenze retributive o un demansionamento) sarà di competenza del primo mentre su una delibera di esclusione deciderà il Giudice Ordinario. Tuttavia, posta la particolarità della posizione di socio lavoratore (al tempo stesso dipendente e datore di lavoro), spesso i momenti estintivi dei due rapporti (licenziamento/dimissioni e esclusione/recesso) si sovrappongono sino a creare confusione circa l’applicazione dell’art. 5, comma 2, L. n. 142/2001. Si pensi, per esempio, al caso di un socio lavoratore scoperto a danneggiare beni della cooperativa e, contestualmente, destinatario di licenziamento (per giusta causa) e di delibera di esclusione (ai sensi dell’art. 2533, comma 2, c.c.). In questa circostanza, ad avviso di chi scrive, al fine di individuare la competenza giurisdizionale in caso di azione giudiziaria da parte del socio lavoratore, viene in soccorso proprio la L. n. 142/2001 (come modificata dalla L. n. 30/2003): è la strumentalità del rapporto di lavoro rispetto al rapporto associativo a guidare l’interprete al fine di individuare la competenza che, nel caso di specie, non potrà che essere del Giudice Ordinario. Non a caso, l’art. 2 della L. n. 142/2001 esclude espressamente l’applicabilità dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori “ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo”. Poco utili alla riflessione, a mio avviso, sono le considerazioni circa una disparità di trattamento tra i lavoratori “normali” e i soci lavoratori in casi di licenziamento (ed esclusione): il trattamento non è uguale perché non uguale è la situazione soggettiva delle due categorie (lavoratori dipendenti “normali” e soci lavoratori). D’altra parte è il caso di evidenziare come non sempre le controversie tra socio lavoratore e cooperativa generano siffatti dubbi interpretativi. Si pensi al licenziamento per giustificato motivo oggettivo (il licenziamento “economici” che in questo periodo storico è uno strumento molto utilizzato) senza delibera di esclusione dalla compagine sociale: in questo caso è indubbia la competenza del Giudice del Lavoro, poiché la controversia nasce (e si esaurisce) nell’ambito del rapporto di lavoro. In quest’ultimo senso, il Tribunale di Genova si è espresso in maniera decisa sostenendo che: ““Dopo la riforma del lavoro in cooperativa operata dalla l. 14 febbraio 2003 n. 30 il rapporto lavorativo del socio lavoratore ha un carattere più marcatamente strumentale rispetto al rapporto societario, ma conserva comunque una sua autonomia, come ben risulta dal mantenimento dell’aggettivo “ulteriore” nell’art. 1 comma 3 l. 3 aprile 2001 n. 142. Alla duplicità dei rapporti corrisponde poi la duplicità delle tutele, sicché tutte le controversie attinenti situazioni giuridiche generate esclusivamente dalla prestazione lavorativa, devono essere assoggettate al rito del lavoro (nella specie il giudice del lavoro, in assenza di esclusione dalla compagine sociale, ha ritenuto la propria competenza per le domande attinenti l’asserita illegittimità del contratto a progetto stipulato con il socio – che è stata respinta – e il risarcimento del danno da anticipato recesso del committente, che è stato accolta” (Trib. Genova, 26 gennaio 2008). In ogni caso, la decisione della Corte Costituzionale relativamente al caso del Tribunale di Torino potrà fornirci ulteriori spunti ermeneutici del dettato normativo, facilitando (o acuendo?) le oggettive difficoltà interpretative.]]>