Poletti, si è appena chiuso un anno di grande difficoltà per l’economia del Paese. La disoccupazione è cresciuta, sono calati i consumi, gli investimenti sono al palo. E l’anno appena iniziato non autorizza certo molte illusioni su un possibile cambiamento di scenario. Non sarà d’aiuto la pressione fiscale che, in base alle ultime previsioni del governo, salirà dal 44,7% dell’anno appena concluso al livello record del 45,3%, con il debutto di nuove imposte, tra le quali la Tares è quella che desta maggiori preoccupazioni, anche nelle imprese. Senza dimenticare l’IVA, la cui aliquota più alta salirà a luglio dal 21 al 22%. Dal tuo osservatorio che impressioni ricavi? L’anno che si è concluso è stato senza dubbio difficilissimo, in particolare per gli andamenti dell’economia che si sono poi trasferiti in maniera drammatica sul versante dell’occupazione, con effetti pesanti soprattutto per i giovani, ma anche con una significativa perdita complessiva di posti di lavoro. Basti pensare che alcuni comparti, come quello delle costruzioni e dell’edilizia, nell’arco della crisi hanno registrato una perdita di circa 500mila posti di lavoro. Su questa situazione di grande difficoltà ha pesato, naturalmente, l’intervento di messa sotto controllo del debito pubblico attraverso provvedimenti, sia di tagli sui servizi sia di incrementi fiscali, che si sono sommati ad interventi che erano già stati decisi negli anni precedenti: si è pertanto accumulata una serie di misure che hanno appesantito il carico fiscale da un lato e tagliato, dall’altro, le risorse che il pubblico investiva. Da questo punto di vista l’impressione che se ne può ricavare è che se questo intervento ha consentito -ovviamente insieme alle scelte della BCE e dell’Unione Europea- di mettere sotto controllo il costo del debito pubblico, come testimonia il deciso calo dello spread, dall’altro lato è evidente che è rimasto totalmente non affrontato il tema della crescita. Quindi su questo versante c’è bisogno di un cambiamento di passo, perché altrimenti, come peraltro hanno già preannunciato sia gli istituti internazionali sia i centri studi nazionali, il 2013 continuerà ad essere un anno di ulteriore recessione, di ulteriore caduta del Pil. E dal punto di vista delle imprese cooperative come è andata? Puoi tracciare un bilancio sintetico del 2012 e fare qualche previsione per l’anno nuovo? Questa situazione generale ha inevitabilmente coinvolto anche le imprese cooperative, il cui andamento 2012 si presenta, comunque, articolato. Abbiamo settori che sono stati colpiti in maniera più pesante -pensiamo alle costruzioni e a tutti i settori collegati- ma, sostanzialmente, hanno sofferto tutte le imprese, quindi anche le cooperative, che operano essenzialmente sul mercato nazionale sia quello dei consumi finali, sia quello degli investimenti che sono, a loro volta, crollati pesantemente. Hanno tenuto di più le imprese e i settori che hanno una proiezione forte sui mercati internazionali, come il settore agroalimentare, che rappresenta una parte importante dell’export del made in Italy, e le imprese del settore industriale che operano su mercati mondiali. Va detto, in ogni caso, che le cooperative hanno continuato a tentare di difendere l’occupazione. Come è emerso dal primo Rapporto Censis sulla cooperazione in Italia, il periodo di crisi dal 2007 ad oggi ha visto gli occupati nel settore cooperativo aumentare di 130.000 unità: un dato assolutamente positivo che ha ridotto l’incremento complessivo della disoccupazione in Italia di circa un punto, un contributo non banale agli andamenti generali. È un quadro che potrà reggere solo a patto che la situazione cambi: perché se il trend rimarrà quello noto il 2013 sarà un anno di grande difficoltà, di grande crisi. Teniamo conto che alcuni segmenti come la cooperazione sociale o la cooperazione di servizi che hanno sofferto un po’ di meno di queste criticità nel rapporto con le pubbliche amministrazioni, nel 2013 si troveranno cumulati tutti gli effetti dei tagli della spending review e, sicuramente, si troveranno a fare i conti con una situazione di difficoltà che appesantirà i loro bilanci e che potrà colpire l’occupazione. C’è comunque da considerare che, su questo versante, le cooperative hanno fatto un grande lavoro di riposizionamento, hanno cercato nuovi mercati, hanno cercato di rendersi più autonome dalla spesa pubblica e quindi di andare a collocarsi anche sui mercati privati. Naturalmente, fare questo oggi è molto difficile, perché è uno sforzo che stanno facendo tutte le imprese, per cui la competizione è diventata molto forte e la domanda si è ridotta, quindi le difficoltà sono cresciute. Resta, in ogni caso, il dato di fondo che le imprese cooperative non hanno smesso di cercare di ricostruire una propria prospettiva di futuro e non hanno ceduto di fronte alla crisi, se non quando non hanno più avuto le risorse per poter continuare il loro lavoro. Tra poco più di due mesi gli italiani saranno chiamati a rinnovare il Parlamento. Il PD, nella linea di inserire nelle sue liste personaggi del mondo produttivo ed associativo, ti aveva chiesto di candidarti: una proposta che non hai accettato. Perché? Si è trattato di una proposta nata a livello locale, in vista delle primarie. Ovviamente, ho provato un certo orgoglio per il fatto che nella mia città, dalla quale sono lontano ormai da 10 anni, nel momento in cui c’è stata l’esigenza di individuare una candidatura si sia pensato al sottoscritto. Premesso che attribuisco un grande valore alle scelte che fanno i cittadini e alle persone che vanno a ricoprire questi ruoli, quindi con un grande rispetto del ruolo dei parlamentari e dell’impegno che ad essi viene richiesto, ho ritenuto giusto fare la scelta di mantenere l’impegno che avevo assunto con Legacoop quando sono stato eletto Presidente in questo mandato, con la convinzione che ci sia ancora molto lavoro da fare e, in particolare, ci sia bisogno di lavorare al progetto dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, all’idea di una nuova organizzazione unitaria di rappresentanza delle cooperative, perché questo tipo di impegno mi sembra coerente con il quadro generale di cambiamento e di ristrutturazione aperto nel Paese. Il problema della rappresentanza è, infatti, un problema della politica, ma anche delle organizzazioni sociali, per cui bisogna che anche i sindacati, le organizzazioni di impresa e, nel nostro caso, le organizzazioni cooperative siano capaci di interpretare questa fase di cambiamento che tende ad una disintermediazione della relazione tra i cittadini e le imprese e i punti di decisione. Quindi, io credo che costruire l’unità cooperativa possa essere veramente un importante passo avanti; così come penso che solo una nuova organizzazione unitaria di rappresentanza sia in grado di costruire un “nuovo pensiero” della cooperazione italiana, per mettere questa forma a disposizione dei cittadini considerando che questa è, forse, una delle novità possibili per uscire dalla crisi. Noi continuiamo a sostenere che il protagonismo sociale, la autorganizzazione dei cittadini, è anche una parte significativa della possibile risposta da dare alla crisi a fronte del fatto che lo Stato non potrà incrementare ulteriormente le tasse, anzi dovrà possibilmente ridurle, e quindi caleranno le risorse destinabili alla erogazione dei servizi, alla gestione degli interessi collettivi. E la forma cooperativa è l’infrastruttura più idonea a rendere possibile ai cittadini questa scelta. Tra gli aspiranti premier per la futura legislatura c’è Mario Monti, con un progetto politico che sta prendendo forma in questi giorni. Che giudizio dai su ciò cha ha fatto il Governo da lui presieduto e sui primi contenuti di quella che il Presidente del Consiglio uscente ha definito una “agenda” per l’Italia? Si può dire che il primo compito cui era stato chiamato questo governo -quello di ricostruire una credibilità internazionale delle istituzioni italiane, di mettere in sicurezza il debito pubblico- è stato assolto. Meno soddisfacente è, invece, il modo in cui si è realizzato questo equilibrio; certo, i tempi sono stati molto stringenti, ma si poteva fare meglio. Pensiamo, ad esempio, al tema delle pensioni: probabilmente si doveva immaginare una formula di uscita dal lavoro più flessibile che consentisse anche un maggior ricambio generazionale. Con l’operazione fatta si sono costrette molte persone a rimanere al lavoro e molte imprese a tenere persone non più motivate, senza le capacità e le competenze adatte al tipo di lavoro che stanno svolgendo, mentre si sono esclusi dalle imprese e dagli uffici i giovani che avrebbero potuto farlo. Credo che questa sia la dimostrazione del fatto che c’è stato un approccio molto mirato al controllo e poco attento agli effetti sociali che questo avrebbe prodotto. Analogamente, non si può dire che sia stato fatto molto sul versante della cessione del patrimonio pubblico, uno degli elementi che potrebbero rendere meno drastico, meno pesante l’impatto delle misure assunte dal Governo in termini di riduzione dei servizi e di aumento della tassazione. Per quello che riguarda la “agenda Monti”, mi pare che sia di larga continuità con ciò che questo governo ha fatto e, quindi, punti ancora molto all’idea di garantire una stabilizzazione e una messa in sicurezza dei conti pubblici, con un’aspettativa, che ritengo un po’ eccessiva, sul fatto che si crei una sorta di automatismo per il quale, con la messa sotto controllo delle dinamiche del debito pubblico, l’economia riesca a ripartire sua sponte. Continuo invece a pensare che servano politiche anche sul fronte della domanda, perché se la domanda continua ad essere calante, come lo è stata in questi anni, è del tutto evidente che il ciclo economico non cambierà di segno. Insomma, c’è un tratto positivo che non può essere abbandonato: quello del rispetto del patto con l’Europa, del mantenimento sotto controllo della spesa pubblica. Ciò che è discutibile è un approccio che pare non considerare in maniera adeguata gli effetti sociali, che poi hanno un loro risvolto economico altrettanto rilevante, delle politiche che si sceglie di attuare. Quali dovrebbero essere le priorità per il Parlamento e l’Esecutivo che si formeranno con le prossime elezioni? Ci sono delle misure concrete che, ferme le compatibilità di bilancio, potrebbero aiutare il Paese a riprendere la strada della crescita? Rispetto alle prospettive future, credo che sia innanzitutto da auspicare una condizione di stabilità politica e, quindi, che l’esito elettorale dia vita ad un Parlamento con una maggioranza sufficientemente forte tale da non essere assoggettabile alle pressioni e ai ricatti di frange “estreme”, perché ci saranno da fare scelte molto rilevanti. In particolare, credo ci sia l’esigenza di mantenere la stabilità che si è prodotta nel rapporto con l’Europa e quindi anche l’autorevolezza dell’Italia nella discussione delle future politiche dell’Unione. Perché l’Europa non può essere solo l’Europa della politica, degli obblighi, dei vincoli e dei tagli; ma deve essere anche l’Europa dello sviluppo, degli investimenti; per cui è importante che la nuova maggioranza ed il governo che ne nascerà abbiano la capacità di mantenere attiva questa positiva relazione con l’Europa. C’è poi il tema delle riforme di lungo periodo. L’Italia ha bisogno di fare scelte che modifichino al fondo alcuni nodi del nostro Paese: la dotazione infrastrutturale, il costo dell’approvvigionamento energetico, il riavvio dell’edilizia residenziale e del riassetto urbanistico. Senza dimenticare la necessità di mettere mano al tema del credito, uno dei blocchi più pesanti che ancora oggi pesa sul sistema economico italiano: c’è bisogno di una politica attiva che consenta alle banche italiane di rispettare i parametri europei e mondiali ma, dall’altra parte, di poter erogare il credito. Fondamentalmente c’è bisogno di una capacità di fare scelte prioritarie che, appunto, tengano sotto controllo la spesa pubblica ma riescano, dall’altra parte, a riavviare il sistema della domanda. Perché se non si riavvia il sistema della domanda i tempi di ripresa diventeranno talmente lunghi e gli effetti sociali talmente gravi da mettere davvero in grandissima difficoltà il nostro paese e la sua prospettiva futura.]]>
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