Massimilano Maggio, sulla riforma del lavoro dell’attuale ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ed eredita dal suo predecessore, Elsa Fornero, con la legge n.92 del 2012. Di seguito: Quella del Lavoro è da sempre materia su cui i governi succedutisi negli ultimi 10 anni hanno riversato, in particolar modo all’inizio della legislatura – quasi a caratterizzare ideologicamente il loro mandato – il loro impegno maggiore. Anche il governo Letta – un ibrido dal punto di vista del colore politico – per mano del ministro Giovannini, non è stato da meno e, “pronti via”, ha apportato modifiche all’impianto legislativo della L. n. 92/2012 (la famigerata “Riforma Fornero”) che esso stesso e i suoi colleghi di schieramento, solo 12 mesi prima, aveva contribuito a formare. Entrando nel merito, la prima parte del decreto legge – che, ricordiamo, può essere suscettibile di modificazioni durante l’iter di conversione che inizierà a brevissimo – è relativa alle agevolazioni alle assunzioni della popolazione più giovane. E’, difatti, previsto, all’art. 1, uno sgravio contributivo (fino a 650 € per lavoratore assunto) per ogni assunzione (o trasformazione a tempo indeterminato di contratti a termine) di giovani, di età compresa tra i 18 e i 29 anni, che abbiano almeno uno dei seguenti requisiti soggettivi: a) siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; b) siano privi di diploma di scuola media superiore o professionale; c) vivano soli con una o più persone a carico. L’incentivo (un terzo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, fino a un massimo di 650 €) avrà durata di 18 mesi (12 nel caso di trasformazioni di contratti a termine). Per la concreta applicazione, tuttavia, la norma rimanda all’approvazione da parte di ogni Regione degli atti di riprogrammazione delle risorse del Fondo di Rotazione ex L. n. 183/1987. Pertanto, e in disparte ogni considerazione sui caratteri di incertezza della disposizione, le perplessità maggiori, ad avviso di chi scrive, risiedono nella circostanza per cui, dopo tanto sponsorizzare l’uso del contratto di apprendistato (si ricorda finanche uno spot televisivo per promuoverlo) vengono disposte delle agevolazioni riferite alla stessa fascia di popolazione che già rientra nella disciplina dell’apprendistato. L’art. 2 del D. L. n. 76 in commento, tenta di disporre l’allineamento delle normative regionali proprio in materia di apprendistato, senza, tuttavia, centrare l’obiettivo (il comma 3 stabilisce, difatti, che in assenza dell’adozione entro il 30 settembre 2013 delle linee guida da parte della Conferenza permanente, “resta salva la possibilità di una diversa disciplina (omissis) … ovvero in seguito all’adozione di disposizioni di specie da parte delle singole regioni”. All’art. 3 viene previsto il finanziamento di forme di autoimpiego e autoimprenditorialità giovanile (nella misura di 26 milioni di euro per ciascuno dei due prossimi anni e 28 milioni di euro per il 2015). L’art. 7 è quello che contiene le disposizioni più interessanti. Sostanziali modifiche vengono apportate al contratto a tempo determinato, disciplinato dal D. Lgs. n. 368/2001, già modificato dalla L. n. 92/2012. In primis viene abolito il divieto di proroga del contratto “acausale”, restando, in ogni caso, nel limite dei 12 mesi. Vengono poi rimodulati “al ribasso” i periodi di “stacco” tra un contratto e l’altro (si ritorna ai 10 e 20 giorni, anziché i 60 e 90, come periodo di attesa tra una riassunzione a termine e l’altra, in base alla durata del primo contratto, se inferiore o superiore a sei mesi). Sempre l’art. 7, in materia di lavoro intermittente (o “a chiamata”), viene prevista la sanzione della conversione a tempo pieno e indeterminato qualora il lavoratore superi le 400 giornate effettive di lavoro nell’arco di tre anni solari. Viene parzialmente modificato anche l’articolo 61, comma 1, D. Lgs. n. 276/2003 in materia di collaborazione coordinate continuative a progetto: la validità del progetto è, adesso, subordinata alla concreta esecuzione di compiti non esecutivi e ripetitivi (fino a 28 giugno 2013 la norma prevedeva che “il progetto non può comportare l’esecuzione di compiti meramente esecutivi o ripetitivi”). Scopo del legislatore è, evidentemente, quello di ampliare il novero delle prestazioni cristallizzabili in un contratto a progetto. Ancora, l’art. 7 si occupa, altresì, di escludere dall’obbligo della procedura di cui all’art. 7, L. n. 604/1966 così come modificata dalla Fornero, i casi di licenziamenti per g.m.o. che, sostanzialmente, non hanno alternative: si parla dei licenziamenti per superamento del periodo di comporto, quelli comminati per conclusione di appalto e quelli per chiusura cantieri. Viene, inoltre, previsto un ulteriore incentivo alle assunzioni, relativamente a percettori di A.S.p.I.: è concesso, al datore di lavoro, un contributo mensile pari al 50% dell’indennità mensile residua che sarebbe stata corrisposta al lavoratore, per ogni assunzione a tempo pieno e indeterminato. Per quanto riguarda le dimissioni, viene estesa la disciplina della convalida anche alle collaborazioni coordinate e continuative, anche a progetto. In ultimo, viene reintrodotta la lett. a) dell’art. 4, D. Lgs. n. 181/2000: si conserverà lo stato di disoccupazione a seguito di svolgimento di attività lavorativa che assicuri un reddito annuo non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione (attualmente, 8.000 € per attività di lavoro subordinato e 4.800 € per attività di lavoro autonomo). Altre disposizioni, di portata sicuramente minore rispetto agli istituti innanzi analizzati, vengono introdotte. La sensazione è, in ogni caso, quella dell’ennesimo tentativo di incidere sui tassi occupazionali: il ministro Fornero non ci è riuscita, vedremo se Giovannini avrà più fortuna.]]>
- +39 080 5423959
- legacoop@legapuglia.it
- Lun - Ven: 9:00 - 13:00 | 14:00 - 17:00