Renzi e del neo ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, sul nuovo regime dei contratti a termine e l’apprendistato, che ha suscitato molteplici polemiche e perplessità da parte di sindacalisti ed economisti. Di seguito un breve commento alla riforma del responsabile Ufficio Legislazione lavoro Legacoop Puglia, avv. Massimiliano Maggio. Di seguito. _____________________ Nella serata del 20 marzo 2014 è stato pubblicato il tanto discusso decreto legge n. 34/2014, presumibilmente il primo provvedimento della più complessiva operazione di riforma dell’impianto legislativo in materia di lavoro pensato dal premier Renzi e dal Ministro Giuliano Poletti. Gli aspetti del decreto maggiormente interessanti e che andremo succintamente ad analizzare sono due: le modifiche al D. Lgs. n. 368/2001 e al D. Lgs. n. 167/2011. Sicuramente l’impatto più significativo viene riscontrato nella disciplina dei contratti a termine: sarà possibile apporre, in maniera acausale, un termine al contratto di lavoro subordinato per tutti e 36 mesi di durata del rapporto. Pertanto il principio dell’acausalità viene definitivamente liberalizzato: non più per 12 mesi e solo per la prima missione. Gli unici limiti sono di due tipi: il primo relativo al numero di proroghe possibili (ben otto); il secondo circa la proporzione tra il personale assunto a termine e il complessivo organico in forza, ossia il 20% (in ogni caso è data possibilità alle imprese che occupano fino a 5 dipendenti di stipulare un contratto a tempo determinato). Nessuna modifica il D. L. n. 34/2014 apporta in riferimento all’art. 5, D. Lgs. n. 368/2001: i periodi di “stop and go” regolati dal precedente Ministro Giovannini vengono confermati. Tuttavia, il numero di proroghe possibili parrebbe svuotare di efficacia il limite di cui al ridetto art. 5. L’intento del legislatore è chiaramente quello di ridurre il contenzioso in materia di apposizione di termini (l’interpretazione delle famigerate “ragioni tecniche, produttive, organizzative e sostitutive” hanno sin qui riempito gli scranni dei giudici del lavoro italiani) e anche, in maniera combinata con la riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, favorire l’accesso al lavoro di chi attualmente è disoccupato. Ad avviso di chi scrive, relativamente a quest’ultimo aspetto, una riforma del panorama dei contratti di lavoro attualmente presenti, benché necessaria e utile, non è sufficiente a scardinare l’endemicità del tasso di disoccupazione che, invero, andrebbe abbassato favorendo l’alleggerimento dei carichi fiscali ad imprese e professionisti, sì da stimolare nuovi investimenti – anche dall’estero – e ripresa dei consumi. Per quanto attiene, invece, alla riforma dell’apprendistato, preliminarmente è opportuno rilevare come si sia proceduto ad un alleggerimento degli obblighi formali, attraverso l’abrogazione delle lettere a) e i) del comma 1, art. 2, D. Lgs. n. 167/2011 laddove veniva stabilita la forma scritta per il piano formativo (resta l’obbligo della forma scritta del contratto e del patto di prova) e per le modalità di conferma in servizio al termine del percorso formativo. Strada spianata, invece, alle assunzioni: ferme restando le proporzioni tra apprendisti e maestranze di cui al comma 3 dell’art. 2, viene eliminato – con l’abrogazione dei commi 3 bis e 3 ter – il limite all’assunzione attraverso questo particolare contratto alle aziende che non hanno provveduto a mantenere in organico almeno il 50% degli apprendisti già in organico. La matrice liberale del provvedimento governativo in commento è indubbia e avvicina la legislazione del lavoro italiana a quella di altre realtà europee (Germania e Inghilterra in particolar modo): se l’obiettivo deflattivo del contenzioso relativamente a queste tue tipologie contrattuali è indiscutibilmente raggiungibile, il decremento dei tassi di disoccupazione richiederebbe altri e corposi interventi. La fiducia nel Ministro Poletti non manca, con la consapevolezza che la strada da percorrere è ancora lunga e decisamente tortuosa.  ]]>