Maurizio Pozzi – vogliono difendere il servizio pubblico e, proprio per questo, innovarlo: non possiamo accettare che si consumi o che le difese corporative lo consumino”. Le cooperative alla sfida, dunque, dell’innovazione. In uno dei settori più delicati e importanti nella vita di ciascuno. In uno dei momenti più complessi della sua storia. “Chi capisce la sfida – spiega Pozzi – si attiva, può sbagliare, ma costruisce il nuovo”. Gli altri? “Si chiudono in una difesa tanto corporativa quanto inutile, saranno comunque travolti e porteranno a fondo con sé il sistema”. Su questa sfida la cooperazione sanitaria, che si è riunita a Roma per il proprio congresso, gioca tutto il proprio peso. Un peso non indifferente, a giudicare innanzitutto dai numeri. Le cooperative sanitarie sono ormai 76 nel nostro Paese. La parte prevalente è composta da cooperative di servizi ai medici di medicina generale, i cosiddetti medici di famiglia. Sono, in tutto, 49 più due consorzi. Parliamo, complessivamente, di oltre 2.500 medici associati per circa 3 milioni di assistiti che ricevono servizi dalle cooperative. Le regioni più attive sono Toscana e Lombardia, Veneto dove sta nascendo un’ulteriore cooperativa a Verona proprio in questi giorni, ce ne sono 2-3 in Piemonte, 3-4 in Liguria, altrettante in Emilia-Romagna, ne è nata una in Umbria. Ma non sono tanto i numeri, quanto la capacità di essere innovativi, a giocare un ruolo importante in questa sfida. Una capacità che la cooperazione sta dimostrando sul campo. L’organizzazione dei servizi sanitari sta cambiando, grazie anche alla Legge Balduzzi, che ha fornito l’atto di indirizzo per l’organizzazione del territorio. La strada, insomma, è quella di una progressiva riduzione di ospedali e reparti, ‘salvando’ solo acuzie, eccellenza, alta tecnologia. Parallelamente si dovranno riorganizzare e potenziare sia i percorsi di Cure primarie sia quelli di Cure intermedie. Il tutto realizzato integrando i servizi e sburocratizzandone la gestione. “Dobbiamo sfidare le Regioni – ha spiegato oggi Pozzi nella sua relazione – ad assumere questa responsabilità: dare risorse ai servizi e sottrarle alla macchina inefficiente”. L’esperienza maturata con i medici di medicina generale ha permesso, infatti, alle cooperative di sviluppare idee e progetti: “Abbiamo individuato – racconta Pozzi – nuove situazioni determinate dai tagli e dai ritardi nell’effettuazione delle prestazioni necessari per la salute: criticità in alcuni settori ormai abbandonati dal pubblico; odontoiatria; cure psichiatriche; specialistica di primo livello”. Tutti ambiti nei quali la cooperazione può intervenire e, come raccontano anche le esperienze delle imprese, già sta operando. “Si tratta di passare da una medicina diciamo così ‘di attesa’ – spiega Pozzi – a una medicina d’iniziativa, soprattutto per i malati cronici che sono ormai il 30% della popolazione e da cui dipende l’80% della spesa sanitaria. Le cooperative possono organizzare l’insieme delle risposte, secondo la modalità del Chronic Care Model, che si sta sperimentando in particolare in Lombardia e in Toscana, anche espanso a prestazioni specialistiche e diagnostiche previste nei percorsi assistenziali, con presa in carico globale della persona e remunerazione in base al raggiungimento di indicatori”. Una strada lungo cui si risparmia anche, riducendo sia il ‘consumismo’ di chi tende a curarsi ‘troppo’, sia la degenerazione delle situazioni causata da chi si trascura. Un’altra frontiera fondamentale è quella dell’integrazione, tra territorio e ospedale e, sul territorio, tra i diversi soggetti che vi operano. La regione più avanzata è la Toscana, dove è ormai completa la rete delle Aggregazioni funzionali territoriali (Aft), che riducono gli accessi impropri al Pronto soccorso e costituire il nucleo per le Unità complesse di cure primarie (Uccp), costituite da uno o più Aft, servizi di continuità assistenziale, di specialistica di primo livello, di assistenza domiciliare integrata. In Lombardia è stata fatta un’esperienza particolare sulla TAO, il servizio per controllare due o tre volte la settimana la fluidità del sangue in pazienti che hanno avuto, ad esempio, un ictus. Prima ognuno doveva raggiungere il centro più vicino, facendo anche 20-30 chilometri. Adesso basta andare dal medico della cooperativa nel proprio paese, lui fa le analisi, si collega via internet al centro specializzato e riceve le indicazioni sul conseguente dosaggio del farmaco. L’esperienza più avanzata potrebbe partire a Cavarzene, nel veneziano. Il tema è tra i più rilevanti, ovvero come garantire l’assistenza e la cura a chi viene dimesso dall’ospedale. Una soluzione potrebbe passare attraverso gli ospedali di comunità: pochi posti letto, senza alta specializzazione, capaci di coinvolgere i medici del territorio. Nel paese veneto una cooperativa di medici di medicina generale gestisce già una medicina di gruppo all’interno di un ex ospedale. L’idea è quella di riaprire posti letto, a fianco degli ambulatori. Servirebbe, tra l’altro, a frenare la migrazione sanitaria verso Rovigo, più vicina in linea d’aria. Motivo per cui alla fine l’Azienda Usl di Venezia potrebbe più facilmente dare il disco verde. Perché a volte anche le grandi scommesse si vincono anche così, grazie a un motivo ‘banale’. L’importante è innovare, cercare risposte nuove. Come le cooperative sanitarie hanno imparato a fare e continuano a fare. Al congresso Sanicoop sono intervenuti : Gianfranco Piseri, segretario generale di federazione Sanicoop, Giorgio Gemelli, coordinatore del progetto Legacoop Salute, Antonio Di Malta, presidente Co.S., Egidio Giordano, presidente Cooperativa Nuova Dimensione Medica di Lauria, Alberto Aronica, presidente centro studi Co.s., Antonio Calicchia, Cooperativa Romamed, Andrea Tardiola, segretario generale Regione Lazio, Giacomo Milillo, presidente FIMMG, Barbara Moreschi, area promozione attiva Coopfond. Fonte: Legacoop.it]]>
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